Lo scorso weekend è iniziata la demolizione di un intero isolato proprio vicino a dove viviamo. Non è la prima volta, ed era una morte annunciata, ma è comunque triste vedere un pezzo di storia cadere giù, sapendo che sarà sostituito da un centro commerciale, un nuovo compound di lusso, o alla meglio da una pessima e sbiadita copia degli edifici originali.

Perchè è quello che è già successo in passato nel quartiere in cui viviamo, Xintiandi, un elegante mix di elementi orientali ed occidentali, alberi, laghetti e shikumen (finti però). Un grande (seppur affascinante) falso storico. Quello che mi fa rabbia è proprio questo, che non si tratta semplicemente di buttare giù qualcosa di fatiscente per costruire qualcosa di nuovo e più “adatto” alle esigenze contemporanee, ma di ricostruire “in stile” quello che c’era già, rendendolo solo un ricordo, un modello stilistico per una reinterpretazione moderna.


L’architettura Shikumen caratterizza una vasta area del centro di Shanghai. Frutto dell’incontro tra Oriente e Occidente, questo stile si sviluppò durante la seconda metà del XIX secolo ed è considerato, anche dai regolamenti di tutela locali, manifestazione identitaria e tradizionale della Shanghai storica.

Gli shikumen sono strutture in muratura e mattoni, di due-tre piani, arricchite esternamente da portali in pietra decorati. La densità delle case a schiera tipica dei quartieri operai occidentali, venne replicata a Shanghai in isolati omogenei e compatti di shikumen, un susseguirsi di longtang o lilong (vicoli, viuzze) chiusi da portali in pietra o legno e con cortili centrali, mutuati dalla tradizione cinese. Negli anni ‘40 del 900 il 60% delle case di Shanghai erano Shikumen, oggi meno dell’1%. L’erosione del tessuto storico della old town di Shanghai è avvenuta ad una velocità impressionante e sconfortante, sotto la spinta delle esigenze abitative di una megalopoli in continua crescita e del fascino dell’urban regeneration e dell’urban renewal.

L’esempio ormai classico di urban renewal a Shanghai è proprio Xintiandi (新天地, letteralmente “nuovo paradiso”), uno dei tanti nuovi quartieri costruiti per contenere l’espansione urbana. Il quartiere di Taipingqiao, dove ora sorge Xintiandi, era un quartiere densamente popolato, a metà strada tra la città vecchia e la concessione francese. Le foto dell’epoca sono impressionanti: se non ci fosse stato il laghetto Taipingqiao (realizzato proprio nel 1999 in soli 6 mesi), non avrei riconosciuto il luogo in cui viviamo da due anni.

L’intervento di riqualificazione dell’area, realizzato tra il 1999 e il 2001 dallo studio giapponese Nikken Sekkei International e dall’architetto Ben Wood di Boston, aveva previsto la ristrutturazione e ricostruzione “in stile” di gran parte dei fabbricati, con nuova destinazione commerciale, turistica e residenziale. I residenti furono letteralmente espulsi e ricollocati altrove. Anche nei giorni passati, prima che comparissero le ruspe, c’era la coda all’ufficio di quartiere dei residenti per negoziare buonuscita e nuovo appartamento.

A scomparire non è solo un’architettura distintiva ma un intero modo di vivere, un immenso patrimonio immateriale. La maggior parte degli shikumen erano inizialmente abitati da singole famiglie. Nel 1949 questi edifici furono requisiti e suddivisi in unità più piccole destinate ad accogliere più famiglie, che molto spesso condividevano i bagni, la cucina e altri spazi. All’interno di questi vicoli si è sviluppato un modo di vivere e di condividere comunitario, una vita fatta di partite a mahjong, chiacchiere tra panni stesi e cucina all’aperto.

Nel progetto originale, si provò in qualche modo a salvaguardare il patrimonio architettonico originario attraverso il riutilizzo di parte dei materiali originali (nei successivi rimaneggiamenti no). Xintiandi è oggi un luogo ibrido, straniero per i cinesi e cinese per gli stranieri, che ha tuttavia rappresentato un modello di successo vincendo premi nazionali ed internazionali compreso l’Urban Land Institute Award for Excellence nel 2003, ed è stato esempio per altre successive realizzazioni.

Shanghai non è nuova a questi esempi di riuso, come Tianzifang, Sinan Mansions, il 1933 Old Millfun (l’ex mattatoio), il distretto artistico M50. Ora, a pochi passi da Xintiandi, viene abbattuto un altro pezzo di patrimonio storico. La speranza è che si faccia strada una maggiore consapevolezza del valore culturale delle architetture originali ed un desiderio di recupero e conservazione del patrimonio culturale materiale ed immateriale che risparmi quel poco che ancora resta della vecchia Shanghai.
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