Forse non tutti sanno che a Shanghai esiste un quartiere ebraico. E che questa meravigliosa città aprì le porte ai rifugiati ebrei quando tutto il resto del mondo le aveva chiuse.
Ma facciamo un passo indietro per capire come andarono le cose.
Premessa. Il mondo chiude le porte ai rifugiati.
Le Leggi di Norimberga del 1935 privarono gli ebrei della cittadinanza rendendoli di fatto apolidi. La Notte dei Cristalli nel 1938 diede il via ad una lunga serie di violenze e soprusi spingendo un enorme numero di ebrei a cercare rifugio all’estero. Ma, come scrisse Weizmann nel 1936, “Il mondo sembrava essere diviso in due parti, quei posti dove gli Ebrei non potevano più vivere e quelli dove non potevano più entrare”.
La Conferenza di Evian, indetta nel luglio del ‘38 dal presidente americano Roosevelt, per trovare una soluzione al problema dell’aumento del numero di rifugiati ebrei dalla Germania nazista, si rivelò un totale fallimento: nessuna aperta condanna per la Germania ed una generica solidarietà ai profughi ebrei. L’intento iniziale era di spingere i governi partecipanti ad accogliere un numero di profughi proporzionale alle proprie dimensioni, ma la Conferenza sancì piuttosto la definitiva chiusura delle frontiere agli ebrei anche da parte di stati storicamente democratici. Alla fine degli anni ‘30 era impossibile trovare una destinazione aperta per l’immigrazione ebraica, ad eccezione di Shanghai. Mentre in Europa milioni di ebrei venivano uccisi, dall’altra parte del mondo una città apriva loro le porte.

Nel 1938 il console cinese a Vienna, Ho Feng Shan si comportò diversamente dai colleghi degli altri consolati, che rifiutarono di rilasciare visti agli ebrei in fuga dalle persecuzioni razziste: salvò migliaia di ebrei fornendo loro un numero imprecisato di visti. Considerato lo Shindler cinese, nel 2001 è stato riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni”.

Tra il 1933 ed il 1941 arrivarono a Shanghai oltre 20.000 rifugiati ebrei, per lo più tedeschi ed austriaci, viaggiando su lussuose navi da crociera salpate dai porti di Genova, Trieste e Napoli: un viaggio surreale di tre settimane, in fuga dalla persecuzione in Germania e diretti verso l’ignoto.

L’arrivo a Shanghai e la Piccola Vienna
Ma non erano i primi ebrei ad approdare in Cina. La ricca comunità ebraica sefardita originaria di Baghdad era già da tempo perfettamente integrata nell’economia di Shanghai. Le influenti famiglie dei Sasson, Hardoon e Kadoorie, re dell’edilizia in città e tra gli espatriati più influenti, insieme ad enti di beneficenza ebraici americani, aiutarono i rifugiati a trovare riparo, cibo e vestiti.
Già alla notizia della Notte dei Cristalli gli ebrei di Shanghai si erano mobilitati a formare diverse associazioni di mutuo soccorso per accogliere gli ebrei europei. I nuovi arrivati furono in grado di formare in breve tempo una comunità funzionante. Anche la vita culturale riprese presto a fiorire: furono fondate scuole, quotidiani, rappresentate opere teatrali, creati gruppi sportivi e si tennero persino spettacoli di cabaret. L’area in cui si stabilirono, venne conosciuta come “Piccola Vienna”, con strade in stile europeo, caffetterie, alimentari, farmacie, negozi.

Si stima che nel giro di un anno un terzo degli ebrei avesse trovato un lavoro e fosse in grado di mantenere la propria famiglia.
Il Ghetto di Shanghai
Con l’attacco giapponese di Pearl Harbor nel dicembre del ‘41 le cose cambiano. I fondi delle organizzazioni ebraiche americane vengono sospesi e le condizioni di vita dei rifugiati si fecero più dure. Nella Shanghai occupata dai giapponesi, alleati della Germania Nazista, gli ebrei furono costretti a vivere nel ghetto di Hongkou, formalmente noto come “Settore ristretto per i rifugiati apolidi”, un quartiere di Shanghai povero e sovraffollato, ma privo di mura e filo spinato. Era imposto un coprifuoco, l’area era pattugliata, il cibo era razionato e tutti avevano bisogno di permessi per entrare e uscire dal ghetto per andare a scuola o lavorare. Ma gli ebrei non erano isolati nè perseguitati. Nella stessa area vivevano circa 100.000 cinesi che non andarono via quando l’area fu trasformata in ghetto e convissero pacificamente con i rifugiati.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale il numero di sopravvissuti fu così elevato da parlare di “miracolo di Shanghai”. Eppure i Giapponesi erano alleati dei Tedeschi. Meisinger, il famigerato “macellaio di Varsavia”, inviato a Shanghai come capo della Gestapo in Oriente, propose un piano di eliminazione degli ebrei di Shanghai. Il Piano Meisinger prevedeva che gli ebrei fossero caricati su una nave e lasciati andare alla deriva o confinati in un campo di concentramento nell’isola di Chonming. Ma il governatore militare nipponico si rifiutò di consegnare gli ebrei del ghetto di Shanghai agli alleati tedeschi.

Perchè? I giapponesi si sono storicamente macchiati di terribili crimini nei confronti soprattutto del popolo cinese (se pensiamo al massacro di Nanchino o agli esperimenti condotti su 12.000 cinesi ad Harbin, nell’ Unit 731).
Ed il ritrovamento di bombole di zyclon, lo stesso gas usato nei campi di concentramento, fa pensare che si sia trattato solo di una questione di tempo.

Anche se la supremazia della razza ariana non era un obiettivo giapponese, lo era la supremazia dei giapponesi su tutti i popoli asiatici.
Ma l’antisemitismo non era nella cultura orientale. La maggior parte dei giapponesi sapeva poco o nulla degli ebrei e anche quando iniziarono a circolare in Cina e in Giappone libri ed articoli sugli ebrei, si diffuse sì il pregiudizio nei loro confronti ma un pregiudizio “positivo”: per i giapponesi gli ebrei erano intelligenti, ricchi, intraprendenti e godevano di incredibili relazioni internazionali. Quello che erano riusciti a fare i rifugiati arrivati a Shanghai in pochissimo tempo ne era la dimostrazione.
Ed era evidente che le relazioni internazionali di cui godevano fossero vere: secondo le statistiche in quegli anni i profughi ebrei ricevettero dall’estero 5 milioni di dollari, circa 250 a testa, cifra superiore al reddito annuale medio di un abitante di Shanghai. Quindi non erano un problema da eliminare ma piuttosto un potenziale da sfruttare, a costo di andare contro la volontà di Hitler.
Il Piano Fugu aveva proprio questo obiettivo. Fugu come il pesce prelibato che va però maneggiato da persone con opportuna licenza in quanto più mortale del cianuro, così anche gli ebrei erano materia scottante che andava maneggiata con cura.
Il piano prevedeva di offrire rifugio a 20.000 ebrei nei territori controllati da Giappone, in primis la Manciuria, chiedendo un compenso alla comunità ebraica mondiale di 100 milioni di dollari, facendone di fatto degli ostaggi e trasformandola in una colonia fiorente e redditizia grazie alla loro ricchezza ed abilità. Il Piano Fugu non fu mai attuato, ma nemmeno l’eliminazione finale degli ebrei, qualunque ne sia stata la motivazione.
Il ghetto fu liberato ufficialmente il 3 settembre del 1945.

Se ti capita di venire a Shanghai, non dimenticare di visitare questi luoghi. Ad Hongkou, vicino alla fermata della metropolitana Tilanqiao sulla linea 12 è possibile visitare il Museo dei rifugiati ebraici con il suo nuovo interessante allestimento e l’annessa sinagoga. E se hai un pò di tempo, tutto il distretto popolare di Hongkou merita una passeggiata. Al n. 10 di Shajing Road potrai perderti in un edificio che sembra uscito da un disegno di Escher: il Mattatoio 33 o Old Millfun. Puoi trovare qui l’articolo completo.
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6 commenti
Complimenti, articolo molto interessante!
Grazie, Giuliana! E’una di quelle belle storie che meritano di essere raccontate.
Leggere te è come leggere un bel libro. Brava Flavia
Grazie ☺️ mi fa piacere ti sia piaciuto.
Complimenti! Non ne ero a conoscenza… grazie!
Fino ad un anno fa, ignoravo anch’io questo pezzo di storia. A Shanghai c’è il Museo Ebraico dove prima sorgeva il ghetto, chiuso per molto tempo per lavori, ed è davvero interessante e con un ottimo nuovo allestimento. È una storia che meritava di essere conosciuta! ☺️